Il Kenya

Il Kenya-Vista aerea di Lamu

Kenya

Mappa politica dell'AfricaIl Kenya fa parte dell’Africa orientale. La superficie complessiva è di 582.650 km² (quasi il doppio dell’Italia), di cui 13.400 km² occupati da acque interne. Confina a nord con l’Etiopia (830 km) e il Sudan del Sud (232 km), a sud con la Tanzania (769 km), a ovest con l’Uganda (933 km), a nord-est con la Somalia (682 km). A est è bagnato dall’oceano Indiano lungo una linea costiera di 536 km.

La geografia del Kenya è alquanto complessa. Il Kenya è un paese dell’Africa Orientale, ed è attraversato dall’equatore.
Pur essendo un paese equatoriale, e tropicale, presenta climi molto vari. Nel nord si trovano aeree desertiche, e nel centro sud altopiani, con boschi e savane. Il Paese è attraversato da lunghe catene di montagne.

Complessivamente, l’elemento morfologico che più caratterizza il Kenya è la Rift Valley, che lo attraversa da nord a sud. Le acque interne presentano laghi di acqua dolce e di acqua salata; numerosi sono anche i soffioni boraciferi e i geyser. Pochi invece i fiumi, di cui solo due hanno una portata e una lunghezza degne di nota (il Tana e il Galana).

Mappa fisica dell'Africa

La costa del Kenya, lungo l’Oceano Indiano, è lunga 536 km ed ha un andamento sud-ovest – nord-est. La costa è ricca di barriere coralline (notevoli quelle di Malindi, Watamu e di Shimo la Tewa) e di spiagge sabbiose, a sud.
Si trovano inoltre l’arcipelago di Lamu, al nord, e altre isole al confine con la Tanzania.
I fiumi Tana e Galana si gettano nell’oceano a nord di Malindi. Lungo le rive si trovano foreste con un ricco patrimonio biologico.
La fascia costiera è formata da terreni autoctoni, con forti presenze di antiche barriere coralline, e con una pendenza regolare che si innalza verso l’interno.

Dalla costa si sale velocemente verso l’altopiano di Yatta, che in qualche modo separa i bassipiani del nord dalla regione dello Tsavo.
Lo Tsavo è una grande pianura semi desertica, attraversata da colline e montagne monolitiche, che si porta sino ai piedi del Kilimanjaro, la più alta montagna africana (che ha però la cima in Tanzania).
A nord dell’altipiano di Yatta si trovano i deserti che confluiscono nella regione somala. A nord-ovest dello Tsavo iniziano gli altipiani centrali. A nord quello che culmina con il Monte Kenya, seconda cima africana, e a sud con le vaste savane e praterie abitate dai Masai.
Questi altipiani hanno un’altezza variabile dagli 800 ai 3000 metri, con una media sopra i 1600 metri. A nord del monte Kenya, gli altipiani discendono velocemente verso una zona semi desertica che presenta però notevoli catene montuose. Importante il Monte Marsabit.

Lungo tutta la Rift Valley si trovano catene montuose. Le più importanti sono quelle del Mau, degli Elgeyo-Kaputiei, e quelle del Baringo.
Alcune tra le più alte montagne dell’Africa sono situate all’interno del Kenya o a ridosso dei suoi confini. Tra questi sono il Monte Kenya, il Monte Elgon, i Monti Aberdare e il massiccio del Kilimanjaro, la cui vetta si trova in Tanzania. Oltre a questi si segnala il monte Homa formatosi dalla lava carbonatite.

Kenya-Mappa fisicaOltre all’oceano lungo tutta la costa, il Kenya controlla un piccolo spicchio di Lago Vittoria, il più grande lago africano. Altre acque interne d’importanza sono i laghi lungo la Rift Valley, quasi tutti salati (Magadi, Elementeita, Nakuru) e spesso interessati da fenomeni quali i geyser (Bogoria). L’emissione di vapori sotto forte pressione è comune in molte zone del Rift.

Notevole è la presenza di soffioni nell’area di Ol Karia dove una centrale termica sfrutta il vapore per la produzione di energia elettrica. Importante il Lago Turkana, un lago d’acqua dolce alimentato dal fiume Omo, proveniente dagli altipiani etiopici.

Gli unici due fiumi di una certa importanza sono il Tana e il Galana. Il Tana nasce dal bacino lungo i fianchi del Monte Kenya e dell’altipiano che lo circonda. Prosegue poi verso nord, per piegare decisamente a sud e raggiungere la costa. Il Galana nasce come un piccolo ruscello dalle Colline Ngong, poco a sud di Nairobi e percorre tutto il limite nord della pianura Kaputiei. Qui è chiamato Mbagathi dai masai. Dopo aver ricevuto l’acqua da vari altri corsi di piccole dimensioni, esce dal Parco Nazionale di Nairobi ed è conosciuto con il nome di Athi. Segue verso nord e forma le cascate di Forteen Falls vicino a Thika. Da qui si volge a sud est, rasentando tutto il costone dell’altopiano di Yatta dove riceve le acque dello Tsavo e forma le Rapide di Lugard. Continua la sua corsa sino a buttarsi nell’oceano, col nome di Sabaki, poco a nord di Malindi.

Alla fascia costiera, lunga oltre 400 km, succede una regione di altopiani aridi e stepposi; quello centrale, che si eleva a quote comprese tra i 1500 e i 3000 metri, è diviso dalla frattura della Rift Valley che si sviluppa da nord a sud e che forma il bacino del Lago Turkana (o Rodolfo). Ai lati della Rift Valley si innalzano imponenti massicci vulcanici, il maggiore dei quali è il monte Kenya (5199 m), uno dei monti più alti dell’Africa e il Kilimanjaro (5358 m) al confine con la Tanzania. L’altopiano degrada a ovest, in prossimità del Lago Vittoria, e a nord dove il territorio del Kenya è occupato da un ampio tavolato desertico.

Lungo la costa si ha un clima tropicale, fortemente interessato dai monsoni. All’interno, sotto i 1000 m, si ha un clima caldo con condizioni di aridità e alcuni sottoclimi desertici. Sopra i 1000 metri il clima si fa temperato, continentale e persino alpino sui monti più alti. La capitale, Nairobi, presenta un clima temperato – raramente la temperatura sale sopra i 30 gradi – e freddo durante il breve inverno (giugno/luglio).

Il clima, molto caldo e umido nelle regioni costiere, diventa più mite e asciutto nel cuore del Paese, in rapporto all’altitudine. Le piogge sono concentrate in due periodi dell’anno: da marzo a maggio le grandi piogge, mentre da ottobre a dicembre le piogge sono intense ma brevi. L’ambiente dominante è quello della savana, tutelato da numerosi parchi naturali che coprono circa il 10% del territorio nazionale. Sulle pendici delle montagne e lungo il corso dei fiumi si trovano tracce dell’originaria foresta pluviale; mentre a nord, nelle zone meno piovose, la savana sfuma nel deserto. La savana è l’habitat di grandi mandrie di erbivori (antilopi, gazzelle, giraffe, bufali, zebre, elefanti) e dei loro predatori (leoni, leopardi e ghepardi). Nelle acque dei laghi e dei fiumi vivono ippopotami e coccodrilli.

Kenya-Mappa politicaKenya storia antica

Il Kenya è considerato la Culla dell’Umanità, grazie alle scoperte effettuate da L. S. B. Leakey e G. L. Isaac, nella zona del Lago Turkana, di diversi crani, tra i quali uno risalente a circa due milioni e mezzo di anni fa. Possiamo dire che il Kenya è veramente antichissimo se si pensa che nel 2002 nell’area del Lago Turkana è stato ritrovato un resto di ominide di più di sei milioni d’anni.
Il paleoantropologo Justus Erus dell’equipe di Meave Leakey, nel 1999 a Lomekwi, sulle rive occidentali del Lago Turkana in Kenya, scoprì resti fossili di Kenyanthropus platyops considerata una specie di Hominide estinto del Pliocene, vissuto tra 3,2 e 3,5 milioni di anni fa. Il nome “Kenyanthropus platyops” deriva dal greco e significa “uomo del Kenya” “dalla faccia piatta” e fu attribuito dalla Leakey per indicare questa specie, che è anche l’unica finora conosciuta per questo genere.

I resti fossili ritrovati (molto deformati) appartenenti a questa una nuova specie, consistono in una trentina di frammenti di un cranio molto largo e dalla faccia piatta, provvisto di piccoli denti. Secondo alcuni paleoantropologi il Kenyanthropus potrebbe essere una varietà di Australopithecus afarensis, vissuto nello stesso periodo e nelle stessa area, o una specie di Australopithecus. Secondo altri, la faccia piatta è simile ai reperti dell’Homo rudolfensis, e quindi sarebbe già un antenato del genere Homo. In attesa di ulteriori e più significativi ritrovamenti il dibattito rimane aperto.

Numerose località sono famose per avere restituito resti di ominidi molto antichi: Baringo (9 milioni di anni), Lukeino (6 milioni di anni), Lothagam (ca. 5 milioni di anni).

Industrie arcaiche sono state rinvenute in particolare nella regione di Koobi Fora a est del Lago Turkana: Olduvaiano nel sito KBS (livelli più antichi datati a circa 1,8 milioni di anni); Olduvaiano evoluto dai livelli Karari, datati a ca. 1,5-1,4 milioni di anni. Industrie attribuite a questa fase sono anche note a Chesowanja, nel Kenya centrale, da dove provengono resti di Australopiteco robusto datati a ca. 1,4 milioni di anni.

Livelli di diverse fasi dell’Acheuleano sono noti nell’importante sito di Olorgesaile, ca. 50 km a sud-ovest di Nairobi, e in quello di Isenya. Un Acheuleano, associato a resti umani attribuiti a un rappresentante arcaico di Homo sapiens, proviene dal sito di Kanjera. Industrie del Middle Stone Age e del Late Stone Age si trovano, tra l’altro, nei dintorni di Isenya e a Lukenya Hill, vicino a Nairobi. Complessi di tipo Paleolitico superiore, noti col nome di Eburriano, sono conosciuti a Gamble’s Cave, nella zona centrale del Rift e a Nderit Drift, a sud del lago Nakuru. Accampamenti di pescatori di epoca compresa tra 9000 e 5000 a. C. sono stati rinvenuti a Ileret, a Lothagam e a Lowasera, sulla sponda orientale del lago Turkana.

Nei millenni varie popolazioni sono emigrate e si sono stanziate in Kenya. dagli ottentotti del Sudafrica ai Galla della Somalia, ma è nell’ultimo millennio dopo Cristo che si stabilirono in questo territorio la maggioranza delle etnie che diedero vita a questa meraviglioso paese che è appunto il Kenya. Dalle popolazioni bantu nacquero le tribù Kikuyu, Akamba, Meru, Gusii e molte altre, mentre dalle popolazioni nilotiche trasferitesi in Sudan, dalla Valle del Nilo intorno al 1400, presero vita le tribù Masai, Luo, Turkana e Samburu.

La cultura Swahili nacque anche qua come a Zanzibar nello stesso modo, perché la storia fu la medesima. Dal 700 dopo Cristo, Arabi e antichi Shiraz della Persia, incominciarono a battere le coste dell’Est Africa, per spedizioni commerciali; come in Tanzania anche qui molte famiglie nacquero dall’unione di antichi mercanti con donne del Kenya ed è così che nacque quella che oggi viene considerata una delle culture più ricche dell’antica Africa: la cultura Swahili. Piccole città Stato, di religione musulmana, con intrecci di religioni locali, improntate sul commercio costellarono tutta la costa dalla Somalia al Mozambico ed oggi ne abbiamo ancora traccia ben evidente nelle due isole un tempo culla di questa civiltà: in Kenya, l’arcipelago di Lamu e in Tanzania l’arcipelago di Zanzibar.

Guerriero MasaiKenya storia moderna

La storia moderna del Kenya è molto articolata. In queste poche righe ve ne daremo solo una traccia.

I Portoghesi giunsero a Malindi con Vasco da Gama nel 1498. Nonostante vari tentativi di assicurarsi il controllo di alcune città per i propri traffici che andavano dall’India all’Europa, i Portoghesi furono scacciati dalle continue ribellioni della popolazione locale che, come a Zanzibar, chiamò in aiuto gli arabi dell’Oman, cadendo ben presto dalla “Padella nella Brace”.

La presenza araba, infatti, fu ben presto assai più pesante di quella Portoghese, quando il Sultano dell’Oman decise di trasferirsi nell’Isola di Zanzibar per meglio controllare il traffico di schiavi, di zucchero, caffè e chiodi di garofano, esteso in tutto l’Est Africa.
Mombasa e Patè (nell’arcipelago di Lamu), forti città Stato Swahili, in totale rivolta contro il Sultano dell’Oman furono annientate nel 1822 ma le rivolte in altre zone costiere non diminuirono.
Leggendaria fu la figura del condottiero africano, conosciuto con il nome di Mirambo, che intorno al 1870 assediò la cittadella di Kaze, dove il Sultano aveva posto un proprio insediamento e lo costrinse ad andarsene da quel luogo per sempre.

Dopo l’abolizione della schiavitù, grazie ad una forte spinta del governo inglese nel 1873 iniziò la graduale avanzata inglese nelle terre del Nord del Kenya, fino ad allora inaccessibili, perché territorio dei temutissimi guerrieri Masai. Alla fine del 1800 infatti il capo spirituale Masai, conosciuto come Olonana (noto ai britannici come Lenana), oggi chiamato Lenana, concesse all’Inghilterra l’autorizzazione a costruire sul loro territorio l’attuale linea ferroviaria che collega Mombasa con l’Uganda, la famigerata Uganda Railway.
Su questa storia è stato girato il film, Spiriti nelle Tenebre, la storia di due Leoni che non amavano molto la costruzione di quella linea ferroviaria. Il destino dei Masai era segnato, il mito della fine del mondo, parlava proprio di “un serpente di ferro” che avrebbe attraversato le loro terre, prima della loro distruzione.

Piano piano i Masai furono relegati in due riserve, separate proprio dalla linea ferroviaria, ma furono scacciati dopo qualche anno anche dalla riserva più a Nord, perché estremamente fertile e furono spinti in terre più secche a Sud; le proteste del leader Masai Olonana, oggi chiamato Lenana, ormai non poterono servire a nulla.
I grandi guerrieri Masai furono costretti dai coloni bianchi nelle riserve sempre più piccole e alla tribù di agricoltori Kikuyu furono sottratti i terreni. Nei primi anni del XX secolo, le terre interne appartenevano agli agricoltori europei che crearono piantagioni di caffè e tè sulle terre della tribù di Kikuyu, i quali non seppero rivendicare le terre nei termini europei. Con il passare del tempo iniziò ad aumentare l’opposizione al regime coloniale, associazioni come Kenya African Union si unirono ad altre rivendicando il diritto alla libertà dei popoli del Kenya. Nel 1956 la Mau Mau Ribellion fu sconfitta dai colonialisti con un tributo di oltre 13 mila morti africani, ma fu solo la vittoria di una battaglia che non spense gli animi e la voglia di libertà dei Kenioti. Il 12 dicembre 1963, Kenya finalmente ottiene la propria indipendenza diventando una delle nazioni più stabili e ricche dell’Africa. Jomo Kenyatta fu il primo presidente del nuovo Kenya indipendente. Kenyatta era il successore politico di Harry Thuku, uno dei primi leader del partito dei kikuyu, già fondatore nel 1921 della East African Association, incarcerato nel 1922 dagli Inglesi, senza aver commesso reati.

Jomo KenyattaKenya storia contemporanea

Risale agli anni ’30 l’inizio dell’indipendenza del Kenya, con uomo, Johnstone Kamau, meglio conosciuto come Jomo Kenyatta, a cui è dedicato il nome dell’aeroporto internazionale di Nairobi.

Kenyatta, leader del Kikuyu Central Association, nel 1929 andò a Londra per cercare una risoluzione pacifica con il segretario britannico indiano, ma non fu neanche ricevuto. I quindici anni seguenti, Kenyatta visse tra Mosca, Londra e Berlino, formandosi nell’arte politica e nell’azione rivoluzionaria. Fondò la Pan-African Federation insieme a Kwame Nkurmah (futuro presidente del Ghana) e a Hastings Banda (futuro presidente del Malawi). A metà degli anni ’40 tornò in Kenya, diventando il leader del KAU, Kenya African Union; intanto, però, agli inizi degli anni ’50 nacque il gruppo segreto, conosciuto nel mondo come Mau-Mau, costituito da Masai, Luo e Kikuyu con i quali iniziò la rivoluzione Mau-Mau. Kenyatta, nonostante fosse estraneo al movimento fu ben presto arrestato per quasi sette anni. Dopo varie repressioni e aperture del governo inglese finalmente nel 12 dicembre del 1963 si giunse all’indipendenza del Kenya, sotto la guida di Jomo Kenyatta, che cercò di avviare una politica di equità e ridistribuzioni delle terre. Kenyatta governò fino alla sua morte ne 1978.

Dopo la morte di Jomo Kenyatta, avvenuta nel 1978, salì al potere, divenendo il secondo presidente del Kenya, Daniel Arap Moi dalla tribù dei Tugen. Moi ordinò lo smembramento della università e lo scioglimento delle società tribali. Sotto il nuovo governo le tensioni interne ebbero una nuova intensificazione, tanto che la Kenyan Air Force, con le proprie divisioni aeronautiche, tentò nel 1982 un colpo di stato ma non riuscì poiché gli apparati militari fedeli al presidente Moi ebbero la meglio, smantellando l’aeronautica.

Gli aiuti internazionali a favore del Kenya guidato dal presidente (dittatore) Moi furono cessati, successivamente il FMI (Fondo Monetario Internazionale) chiese a Moi di allentare la morsa della politica dell’oppressione in atto e di tenere un comportamento più democratico nei confronti del popolo del Kenya, in cambio il Kenya avrebbe nuovamente avuto gli aiuti internazionali. Daniel Arap Moi accettando le “condizioni” del FMI vinse le re-elezioni del 1993 ed anche quelle (molto discusse) del 1997. Nelle elezioni del 2002, Moi già presidente da 24 anni, tentò di cambiare la costituzione al fine di ricandidarsi, ma non vi riusci, quindi fu eletto presidente Mwai Kibaki determinando un profondo cambiamento della politica di governo e introducendo di nuovo la democrazia in Kenya.

Uhuru KenyattaIl 26 marzo 2013 Uhuru Muigai Kenyatta, ex leader del partito politico Kenya African National Union (KANU), l’ex partito unico del Kenya, e figlio di Ngnina Muhoho e Jomo Kenyatta, il padre della indipendenza del Kenya, è stato nominato presidente del Kenya.
Sebbene chiamato dal secondo Presidente del Kenya, Daniel Arap Moi, ad essere il suo successore alla guida delle elezioni presidenziali del KANU il 27 dicembre del 2002, Kenyatta ha subito una pesante sconfitta dalla coalizione dei partiti di opposizione guidato da Mwai Kibaki. Anche se il KANU aveva tenuto il potere nei 39 anni successivi all’indipendenza, ha ottenuto solo il 31% del voto contro il 62% per Kibaki. Alcuni analisti hanno sottolineato la sua vicinanza al presidente uscente Moi come causa della sconfitta. Nel gennaio 2005, Uhuru Kenyatta ha sconfitto Nicholas Biwott per la presidenza del KANU, ottenendo 2.980 voti dai delegati del partito contro i 622 voti a favore di Biwott, consolidando la sua posizione di presidente e leader del KANU e dell’opposizione.

Oggi il Kenya è uno dei paesi più osservati dell’Africa, in forte ripresa, su cui tutta la comunità mondiale sta puntando molto, compreso il governo italiano, visti gli ultimi finanziamenti del 2009, verso gli investitori italiani in Kenya. Molto si sta facendo e si farà ancora e non è un caso che il turismo sia ogni anno di più in totale espansione: parchi tra i più belli del mondo, spiagge mozzafiato ed una popolazione estremamente ospitale e gentile, non possono che aiutare l’economia del turismo.

Kenya-La disumana violenza

29 gennaio 2016

A 18 mesi dalle prossime elezioni, il panorama rischia già di essere esplosivo, in Kenya. Soprattutto la Rift Valley non attende che di ribollire. Un ecosistema fragile ed estremamente prezioso la cui composita capacità attrattiva ne ha fatto nel corso degli anni anche un calderone politico instabile, non estraneo a momenti di estrema violenza e di vitale importanza per qualunque candidato alle elezioni. Tanto più che, nei prossimi mesi, vi saranno registrati almeno 1,5 milioni di elettori.
Questa larga fenditura di terra ospita un multiforme scenario agricolo, richiamo di forza lavoro per l’intero stato. Qui, lungo le sponde del lago Naivasha, vengono prodotte le 137.000 tonnellate di rose che affollano letteralmente le città europee e asiatiche, con risvolti ambientali e sociali non sempre positivi. Ma è anche una distesa a perdita d’occhio di campi di tè e caffè. I suoi impianti di energia geotermica, poi, forniscono Nairobi di elettricità a buon mercato; i suoi laghi l’acqua. Non stupisce, quindi, l’enorme afflusso di migranti che hanno reso, di fatto, questa zona un colorato caleidoscopio umano, dominato in particolare dai Kikuyu e dai Kalenjin. Una circoscrizione chiave che Uhuru Kenyatta, l’attuale presidente del Kenya, ha bisogno di conquistare se vuole essere riconfermato l’anno prossimo.
Kenyatta appartiene alla tribù dei Kikuyu, la più grande del Paese, e la sua vittoria nel 2013 è stata in parte dovuta all’alleanza con William Ruto, un politico molto popolare tra i Kalenjin. Ma oggi, con l’inflazione galoppante, l’economia che arretra e con Ruto chiamato in giudizio dalla Corte Penale internazionale dell’Aia con l’accusa di istigazione alla violenza dopo le contestate elezioni del 2007, ogni scenario è possibile.
Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, dopo le elezioni, Naivasha e Nakuru furono devastate da terribili brutalità che sconquassarono il Kenya con oltre 300.000 sfollati e almeno 1.300 persone uccise. Molti dei sostenitori di Ruto si domandano, oggi, perché lui sia ancora sul banco degli imputati mentre le accuse contro il presidente Kenyatta siano cadute. Di fatto la Corte Penale internazionale dell’Aia ha formalmente chiuso a marzo di quest’anno il procedimento contro il presidente in carica Uhuru Kenyatta, primo capo di Stato in carica a comparire davanti ai giudici dell’Aja. Nel 2011 Kenyatta era stato accusato di aver avuto un ruolo nelle atroci violenze scoppiate dopo le elezioni del 2007. Il caso, tra i più discussi e criticati di questi 13 anni, è stato lasciato cadere per insufficienza di prove, ma ha contribuito ad alimentare non poco il mito del “pregiudizio africano”.
Tra i protagonisti della campagna a favore di Kenyatta si è segnalato il presidente ugandese Yoweri Museveni, che non nascosto la sua intenzione di arrivare ad un ritiro di massa da parte dei Paesi africani dallo Statuto di Roma. La mozione è già stata affrontata in due diversi summit dell’Unione Africana, mancando però il quorum anche grazie all’impegno di Paesi come il Ghana, la Costa d’Avorio, la Repubblica democratica del Congo. Politicamente, però, il “danno” era già stato fatto, e quanto accaduto in Sudafrica a favore di Bashir conferma che l’efficacia della Corte Penale internazionale è a rischio. L’Africa, peraltro, è tra i principali “azionisti” della Corte: su 123 Paesi che hanno siglato lo Statuto di Roma, ben 34 sono africani. E africani, a ben vedere, sono anche metà dei conflitti in corso nel mondo, forse uno tra i motivi non secondari per cui lo sguardo dell’Aja si è posato così spesso sul continente nero. Un’altra ragione, sostengono alcuni analisti, è che, essendo così esposta alla violenza, la società civile africana ha avuto particolare interesse in questi anni a instaurare uno stato di diritto, anche retto dall’esterno se necessario. “Esigenza” che però viene avvertita meno dai capi di Stato, soprattutto da coloro che tendono a ritenersi al di sopra di quelle regole che li obbligano a rispondere legalmente delle loro azioni. Se a questo si aggiunge l’estrema lentezza d’intervento dimostrata dalla Corte Penale internazionale (anche per mancanza di maggiori mezzi operativi), ecco che la Corte non gode di buona immagine e la sua stessa esistenza è ormai in discussione.
Quel che è certo, però, è che se Ruto dovesse essere condannato, la sua alleanza con l’attuale presidente potrebbe venir meno aprendo la strada ad altre possibilità. Inoltre, Ruto non è l’unico rappresentante dei Kalenjin: Gideon Moi e Isacco Ruto, un governatore della contea, ad esempio, sono due potenziali sfidanti. In uno scenario ancora tutto da definire e che potrebbe, ancora una volta, risultare esplosivo.

Kenya Elezioni 2017Kenya Elezioni 2017

11 agosto 2017 Uhuru Muigai Kenyatta è stato ufficialmente riconfermato quale presidente del Kenya per il suo secondo mandato che scadrà nel 2022. Vice presidente è anche riconfermato William Ruto.
La proclamazione del vincitore è stata annunciata dall’IEBC, la Commissione Elettorale del Kenya, comunicando il rinnovo della carica presidenziale a Uhuru Kenyatta che, con il 54,20% dei voti (8.181.021), ha sconfitto il Rivale Raila Odinga che ha totalizzato il 44,91% (6.779.469) .
A Malindi: Uhuru 23,4% – Raila 75,62%.
L’agenzia Reuters comunica che solo a Mathare, slum di Nairobi pro Raila, è salito a dieci il numero dei morti, tra cui una giovane donna ed una bambina che si era affacciata ad un balcone, a causa dei “colpi sporadici” sparati dalla polizia durante gli scontri con i manifestanti contro i risultati delle elezioni presidenziali. Tre persone sono state uccise nella contea di Nakuru durante le celebrazioni che hanno seguito la rielezione del presidente.
La Commissione Diritti Umani del Kenya ha detto di aver contato 24 morti nelle proteste scoppiate nelle roccaforti dell’opposizione dopo le elezioni di martedì, ma l’opposizione parla del decesso di “un centinaio di persone e fra questi 10 bambini”.

La Corte Suprema del Kenya1 settembre 2017

Annullate le elezioni in Kenya, si vota entro 60 giorni

La Corte Suprema del Kenya ha annullato le votazioni per la presidenza della Repubblica che si sono tenute l’8 agosto 2017. Una nuova tornata elettorale si terrà antro 60 giorni. Ci sono state gravi irregolarità, hanno stabilito i giudici. Da qui la decisione di invalidare i risultati.

La Corte Suprema ha accolto la petizione presentata dal NASA. Con questa sentenza, raggiunta con quattro voti favorevoli su sei, i supremi giudici riconoscono implicitamente che Raila Odinga aveva ragione: i risultati elettorali dell’8 agosto sono stati manipolati ai suoi danni. Esplodono i festeggiamenti tra i suoi sostenitori, nel silente sconcerto di quelli dell’avversario Uhuru Kenyatta e brilla sul tutto il vergognoso imbarazzo degli osservatori internazionali che hanno frettolosamente posto il loro imprimatur sul corretto svolgimento del processo elettorale.
È la prima volta che in un paese africano un tribunale annulla le elezioni presidenziali.
by Africa ExPress

Il Procuratore Generale del Kenya Keriako Tobiko25 settembre 2017

Sempre più fosco il futuro del Kenya.
Sotto inchiesta la commissione elettorale.
Rinviata la seconda tornata elettorale. Il Kenya rischia il caos.

Malgrado tutti parlino di non violenza e di pace, i fatti quotidiani che avvengono nel Paese contraddicono sfacciatamente questi intenti. Il Procuratore Generale del Kenya, Keriako Tobiko, ha aperto un’inchiesta a carico dell’IEBC (la Commissione Elettorale Indipendente), sospettata di aver manipolato i risultati dell’8 agosto per favorire la vittoria del presidente uscente Uhuru Kenyatta, il quale, dal canto suo, aveva già qualche giorno prima, accusato la Corte Suprema, definita “Gang of crooks” (gang di criminali), di aver effettuato un colpo di Stato, annullando il risultato elettorale, per far salire al potere Raila Odinga.

Mentre su ordine della Procura la polizia e l’Autorità anti-corruzione hanno avviato indagini sulla commissione posta sotto accusa, vi è stato oggi l’annuncio che il capo della polizia, William Saiya, è stato rimosso dall’incarico e rimpiazzato da Noor Cabow, quale misura atta ad assicurare un più trasparente svolgimento del voto che, dalla data originariamente prevista del 17 ottobre, è stato spostato al 26 ottobre.

Non occorre un quoziente intellettivo da record per concludere, almeno stando a quanto dichiarato in occasione di questa nomina, che, se ci si aspetta che Noor Cabow fornisca garanzie per “un più trasparente svolgimento del voto”, ciò significa che, il capo destituito, William Saiya, tali garanzie non era in grado di fornirle.

Raila Odinga, comunque, continua a reiterare che “con questa commissione elettorale corrotta e faziosa” lui non intende assolutamente andare al voto. Un altro allarmante fatto è stato riportato poche ore fa dalla stampa locale. Geoffrey Mosoku, del quotidiano Standard, riferisce che la polizia, probabilmente a seguito del recente ordine della Procura Generale, ha intercettato, nella sera di martedì scorso, un autocarro con duecentomila sacchi contenenti documenti elettorali di pertinenza dell’IEBC, che stavano per essere trasferiti dalla sede della Commissione ad una residenza privata.
La polizia, insospettita dai numerosi viaggi compiuti dall’autoccaro, tra la sede IEBC e la palazzina familiare, ha bloccato il mezzo e una volta accertato il contenuto, l’ha posto sotto sequestro. Il Signor Omondi, titolare della Hopeland Advertizing & Design Ltd. è intervenuto sul luogo del sequestro spiegando agli inquirenti che la sua azienda era stata appaltata dall’IEBC con un tender di circa settecentomila euro, per la distribuzione del materiale elettorale e che lo stoccaggio del materiale in quella residenza rispondeva solo ad una necessità di spazio.
Tuttavia questa spiegazione non ha soddisfatto gli investigatori che hanno mantenuto il veicolo sotto sequestro rilevando che non esisteva alcuna autorizzazione formale a che quel trasferimento avvenisse verso una residenza privata e che, comunque, trattandosi di documenti sensibili, quel trasferimento avrebbe dovuto avvenire con una scorta che ne garantisse la sicurezza.

Dopo le dimostrazioni della scorsa settimana, promosse dal Jubilee di Uhuru Kenyatta, che hanno creato gazzarre in varie parti del Paese e in particolare davanti ai cancelli delle Corte Suprema a Nairobi, con aperte minacce ai giudici che la compongono, ieri c’è stato l’ennesimo massacro tribale a Narok tra la comunità Masai e quella dei Kipsigis, entrambe di etnia nilota. Sul campo sono rimasti sette morti. Si tratta di due tribù dedite alla pastorizia, da sempre antagoniste per l’accesso ai pascoli. Gli scontri sarebbero quindi il frutto di ataviche rivalità, non politicamente motivate, così come la decapitazione avvenuta ieri di tre militari kenioti ad opera di Al Shabaab nel villaggio somalo di Jillib dove gli sventurati kenioti erano detenuti.
Tutti questi drammatici eventi, connessi o meno alla controversa questione politica in atto, giocano tuttavia un deprecabile ruolo nel creare un acuto senso di instabilità e di insicurezza sia nella popolazione locale che negli investitori esteri. Se a questo si aggiunge la sempre più precaria situazione della cassa di Stato, ne consegue che il Kenya rischia di dover pagare lunghi e dolorosi effetti, soprattutto a scapito dei suoi cittadini più indigenti.
by Africa ExPress

Uhuru Kenyatta e il suo vice William Ruto30 ottobre 2017

Il voto non è stato trasparente, ma Kenyatta è rieletto presidente del Kenya

Alle 18,07 di oggi, con il solito endemico ritardo, rispetto all’ora stabilita, il presidente della Commissione Elettorale (IEBC) Wafula Chebukati, ha nuovamente proclamato vincitore alla corsa presidenziale Uhuru Kenyatta dell’alleanza Jubilee. Se esistesse un Nobel per l’arte di saper creare confusione, il Kenya potrebbe candidarsi al podio con robuste speranze di vittoria.

Sin dal voto dell’8 agosto le notizie fornite al pubblico dalle istituzioni preposte, sono state contrassegnate da una ridda di affermazioni, smentite e riaffermazioni: “Le elezioni sono valide, le elezioni non sono valide e occorre rifarle; La nuova tornata elettorale si terrà il 17 ottobre, la nuova tornata elettorale si terrà il 26 ottobre; Raila ritira la propria candidatura, Raila (forse) non la ritira, Raila conferma che la ritira; Nei seggi in cui non si è votato il 26 ottobre si voterà il 28 ottobre, nei seggi in cui non si è votato, non si voterà più…“

L’immagine che il Kenya sta fornendo al mondo è un’immagine del tutto deludente. Non ha saputo organizzare un efficiente sistema di sicurezza che garantisse l’esercizio del diritto al voto e malgrado questo ha pagato un alto costo in vite umane. La gestione del processo elettorale, benché in preparazione da più di un anno, non è stata in grado di fornire riscontri trasparenti ed oggettivi, condita dal solito pasticcio di schede sbagliate, materiale inviato nei seggi diversi da quelli cui erano destinati e vari ritardi nell’approvvigionamento.

Ma ciò che crea più sconcerto è che la Corte Suprema, nel decretare l’annullamento dei primi risultati, non è stata capace (o non ha voluto) spiegare chiaramente al pubblico i motivi dell’annullamento, né chi era responsabile per le irregolarità riscontrate. Del resto, che l’atteggiamento della Corte sia stato caratterizzato da una timidezza un po’ sospetta, è stato confermato il 25 scorso, quando è riuscita a deliberare sulla petizione che chiedeva un rinvio delle elezioni perché cinque membri su sette erano assenti. Le ragioni? Chi aveva perso l’aereo, chi era troppo lontano, chi non si sentiva bene…

Uhuru Kenyatta è ora formalmente autorizzato a governare. Ma con il Paese spaccato in due e con troppa polvere sotto il tappeto, avrà la forza sufficiente per tenere unite le due fazioni avversarie? Perché il punto è solo questo. Se il Kenya dovrà procedere verso il traguardo di emancipazione sociale ed economica, di cui ha disperato bisogno, non potrà certo farlo in quel clima di permanente conflitto che i sostenitori del NASA hanno promesso. Forse la soluzione potrebbe davvero risiedere in quel governo di coalizione proposto da Raila Odinga. Certo, non è questa una soluzione che soddisfi pienamente le parti e non è neppure una soluzione oggettivamente giusta, ma la democrazia africana si regge su equilibri ancora molto diversi da quelli occidentali e qui il bene comune deve ancora prevalere sui diritti personali, posto che questi siano ben definiti e verificati, cosa che, nella fattispecie, lascia ancora molti dubbi.

Kenyatta ha formalmente vinto. Il risultato era peraltro scontato dopo la defezione del NASA dal voto. Da domani il Kenya, si leccherà le molte ferite e tenterà di riprendere i suoi normali ritmi di vita, Non sarà facile perché le tensioni sono tutt’altro che sopite. Del resto per nessun paese al mondo sarebbe facile accettare un risultato elettorale prodotto senza la partecipazione di quattro intere contee. Sarebbe come se in Italia un partito conquistasse il potere, malgrado che quattro province non abbiano potuto votare. Infine, un’affluenza alle urne del solo 30 per cento degli iscritti al voto, limita certamente la rappresentatività di chi ha il difficile compito di governare. Le ore a venire ci diranno se la lunga agonia sofferta dal paese in questi mesi è davvero finita.
by Africa ExPress

Negozio del gruppo Safaricom in Kenya4 novembre 2017

Contro il governo Raila annuncia il boicottaggio dell’economia

Nel suo comunicato di ieri il NASA, la Super Alleanza che fa capo a Raila Odinga, sconfitto alla presidenza del Kenya, annuncia l’inizio del boicottaggio economico già proclamato nei giorni scorsi. Sono misure pesanti che, se adottate dai suoi sostenitori, non mancheranno di infliggere al Paese un altro stallo economico dalle conseguenze imprevedibili. Soprattutto considerando il fatto che proprio questa mattina il governo ha lanciato la richiesta di un prestito di circa 300 milioni di euro per completare l’ultimo tratto della nuova ferrovia che dovrà raggiungere Kisumu.

Anche in questa occasione, il NASA ha ribadito che lo scopo della coalizione, oggi convertita in “Movimento di Resistenza”, è quello di “porre termine al regime autocratico, che si è instaurato con la nomina di Kenyatta alla presidenza, per far tornare il paese ad un sistema democratico attraverso, libere, corrette e credibili elezioni”. È stato precisato che, per conseguire il risultato che si propone, il movimento darà luogo a manifestazioni pacifiche e ad atteggiamenti “non cooperativi con un governo che – a loro dire – ha assunto il potere illegalmente”.

Una delle misure adottate dal NASA, sarà quella di boicottare alcuni grossi gruppi industriali e commerciali che sarebbero collusi con il “regime”. “Abbiamo una lunga lista di società, – specifica il comunicato – locali e internazionali, che comunicheremo di volta in volta alla popolazione affinché possa mettere in atto il boicottaggio”. Nel comunicato di ieri il NASA ha già indicato le prime tre: La Safaricom, la Brookside Dairies e La Bidco Inustries, assicurando che a queste ne seguiranno presto altre in modo che i cittadini siano correttamente informati delle loro nefandezze e del perché, insieme al governo, anche loro abbiano “le mani sporche di sangue innocente”. Nelle società in questione vi sono consistenti quote azionarie detenute da membri dell’alleanza Jubelee. Nel caso della Safaricom, il controllo societario è nelle mani del governo di Uhuru Kenyatta.

Difficile predire quanti seguiranno le indicazioni del NASA, visto che si tratta di aziende con grande distribuzione di servizi e prodotti che non sarà facile sostituire con validi equivalenti, ma è comunque certo che un’azione di disturbo, queste misure indubbiamente lo creeranno e benché, a cinque giorni di distanza dalla riconferma di Uhuru Kenyatta, nel Paese non vi siano stati scontri e dimostrazioni violente, i propositi del NASA non mancano di creare qualche apprensione, anche perché l’atmosfera politica è tutt’altro che serena ed ogni giorno giungono notizie di aspri confronti, di minacce, di denunce, anche all’interno della stessa alleanza all’opposizione.

Dal canto suo l’ONU, per bocca del portavoce, Stephane Dujarrik, si è complimentato ieri con Roselyne Akombe, membro di rilievo dell’IEBC (Commissione Elettorale), per essere rientrata in Kenya ed aver ripreso la posizione che deteneva prima di quella, da tutti ritenuta, fuga a New York per proteggere la propria incolumità messa a rischio dalle pesanti minacce di alcuni colleghi.
Roselyn Akombe, si era dimessa dalla carica e si era immediatamente rifugiata a New York perché temeva per la propria incolumità. A suo dire avrebbe ricevuto pesanti minacce da alcuni colleghi che volevano piegarla alla propria linea di comportamento, da lei non condivisa. In un’intervista rilasciata alla NPR, un’emittente radiofonica americana, la dottoressa Akombe, alla soglia delle lacrime aveva dichiarato: “I miei genitori mi hanno educata a perseguire sempre la verità. Amo il mio paese, ma non posso piegarmi a sostenere posizioni che giudico ingiuste.”
Anche questo episodio non è mai stato esaurientemente chiarito e resta tutt’ora avvolto in un alone di mistero. Neppure giova a far luce sulla vicenda la dichiarazione rilasciata dall’interessata che ha detto alla stampa: “Sì, riprendo il mio posto, ma come condizione devo rispettare il divieto di parlare di quanto accaduto prima della mia partenza per gli Stati Uniti”.
by Africa ExPress

Dimostranti NASA oggi Movimento di Resistenza8 novembre 2017

Nuovo ricorso alla Corte Suprema impedisce a Kenyatta di giurare da presidente

Dopo la proclamazione ottenuta dalla Commissione Elettorale (IEBC), Uhuru Kenyatta è il nuovo presidente del Kenya, ma lo è solo in pectore, visto che una nuova petizione, presentata alla Corte Suprema da un sedicente movimento “We-The-People”, gli impedisce di prestare il giuramento che lo consacri nella carica. Le motivazioni di questa petizione sono quelle già note: “le elezioni non sono state credibili ed hanno gettato il paese nello sconcerto”. Il movimento che ha posto in atto l’iniziativa, non si identifica – almeno sul piano formale – con l’alleanza del NASA, ma si definisce “una libera associazione di cittadini insoddisfatti per come il processo elettorale è stato condotto”.

Alcune dichiarazioni degli esponenti del movimento in questione, hanno creato non poca inquietudine nel Paese già prostrato da molti mesi di tensioni e di incertezze. Fino all’ultimo la preparazione del ricorso è stata mantenuta segreta perché, come riporta il Nation “Si temevano attacchi da parte di gruppi criminali sponsorizzati dal governo”. Accuse gravissime, queste, e del tutto incompatibili con un sistema che si definisce democratico. Accuse che hanno fatto esplodere sui social network la reazione dei cittadini stanchi ed esasperati da questi interminabili scambi di accuse e di illazioni. Molti sono quelli che rivolgono accorati appelli ai due contendenti affinché siedano presto ad un tavolo e raggiungano un accordo che salvi il Kenya dalla rovina. “Vi prego, vi prego, Uhuru e Raila – scrive Julius Barasa – incontratevi e parlate di pace!!”

In effetti i due antagonisti si sono entrambi detti disponibili ad un accordo e nell’incontro che è avvenuto ieri durante la celebrazione religiosa presso l’Anglican All Saints Cathedral di Nairobi, si sono anche scambiati – almeno all’apparenza – una molto cordiale stretta di mano. Le successive dichiarazioni dei due non sembrano però essere il linea con le aspettative di pace che il popolo chiede poiché si mostrano entrambi non disposti a recedere dalle rispettive posizioni, questo anche malgrado le esortazioni pubblicamente rivolte loro dall’Arcivescovo Justin Welby: “La riconciliazione è un supremo dono di Cristo – ha detto l’alto prelato anglicano – il non perseguirla con forza, lo fa nuovamente morire sulla croce”.

Intanto altre afflizioni sembrano incombere su Raila Odinga che, dopo la sua ferma convinzione di essere stato defraudato dalla vittoria elettorale, deve ora vedersela con presunte ribellioni all’interno della sua stessa alleanza. I due più importanti governatori della costa; Ali Hassan Joho e Amason Kingi, a capo delle rispettive Contee di Mombasa e Kilifi, sono stati accusati da Moses Kuria, un deputato nell’area Jubilee di Uhuru Kenyatta, di aver registrato un partito indipendente staccandosi dal NASA. Gli interessati hanno seccamente smentito definendo l’asserzione di Kuria “mera propaganda” a favore del governo, ma vera o no che sia la notizia, contribuisce a riscaldare sempre di più un clima già incandescente.

Insomma, anche in questa occasione, sembra che tutto possa risolversi solo attraverso una spartizione del potere che soddisfi entrambi i contendenti. L’Africa ci ha del resto abituati a questo peculiare modo di intendere la democrazia. Le istanze dei popoli non sono mai prioritarie, ma sempre subordinate agli interessi dei potenti e quando questi interessi non sono garantiti, per i popoli sono guai. Il Kenya, grazie anche alla mancanza di disordini e di violenze a sfondo politico, tenta faticosamente di tornare alla normalità, ma le cupe nubi che incombono sul suo futuro sono tutt’altro che dissipate.
by Africa ExPress

Corte Suprema del Kenya8 novembre 2017

Rigettati i ricorsi di Raila: Kenyatta riconfermato alla presidenza

L’attesa sentenza è di pochi minuti fa. I sei giudici della Corte Suprema hanno respinto le due petizioni che chiedevano l’annullamento della nomina di Uhuru Kenyatta alla carica presidenziale, risultata dalle elezioni del 26 ottobre. Il leader dell’Alleanza Jubilee si vede quindi riconfermato nella nomina. L’opposizione ha tempo fino alle 24 di oggi per presentare ricorso e nelle prossime ore si saprà se ha intenzione di farlo.

Il verdetto, appena pronunciato, ha già scatenato furiose reazioni a Kisumu con veicoli dati alle fiamme e dimostrazioni nelle strade cittadine. I disordini sono ancora in corso e ci si augura non causeranno altre vittime oltre alle quattro di ieri uccise nello slum di Mathare da aggressori armati che non sono stati identificati.

by Africa ExPress

Kenya EconomiaKenya Economia

Attualmente, l’economia si basa sulle esportazioni soprattutto di prodotti agricoli (banane, tè, caffè, ecc.) e sul turismo.
L’agricoltura costituisce la base dell’economia del Paese e occupa oltre l’80% della popolazione. Secondo il censimento del 2003, il settore agricolo aveva assunto il 75% della forza lavoro totale del Kenya. L’agricoltura keniota è molto sviluppata lungo la fascia costiera, dove grazie al clima ovvero a piogge abbondanti durante tutto l’anno, si ha la crescita di una flora diversificata e rigogliosa. Nello specifico in campo agricolo il cereale più coltivato è il mais che occupa il 62% dei territori agricoli mentre manioca e sorgo vengono coltivati nelle terre meno fertili e utilizzati soprattutto dagli abitanti.
Inoltre, nel Paese vi è la presenza di compagnie multinazionali straniere che detengono diverse piantagioni per la produzione di caffè, tè, banane, cocco e il sisal (fibra tessile ricavata dalle foglie di agave sisalana utilizzata per la costruzione di corde, spaghi, ceste, tappeti e altri manufatti artigianali), prodotti che vengono poi esportati.
L’allevamento di bovini e di ovini è molto praticato soprattutto dai popoli seminomadi.

Con la sua posizione strategica, la presenza di un sistema infrastrutturale migliore rispetto ai Paesi limitrofi e l’utilizzo della lingua inglese dalla maggior parte della popolazione, il Kenya dovrebbe essere uno dei mercati più appetibili agli occhi degli investitori stranieri.
Il Kenya potrebbe offrire molteplici opportunità su vari fronti: dal settore dell’allevamento all’agricoltura, dalle telecomunicazioni ai trasporti, dal turismo all’industria in generale.
Sebbene situato in una regione turbolenta dell’Africa, flagellata nel tempo da conflitti interni ed internazionali, ha saputo conservare una certa stabilità, anche grazie all’opera di mediazione condotta rispetto alle crisi regionali.
Attualmente il Kenya può considerarsi uno dei leader dell’Est Africa dal punto di vista economico e commerciale, ma la corruzione imperante in ogni livello sociale è uno degli ostacoli più grandi che impedisce al Paese di svilupparsi. In effetti, è considerata una delle maggiori sfide che il popolo è tenuto a vincere per non rimanere un paese del terzo mondo. La corruzione colpisce in ogni dove, aumentando le diseguaglianze, scoraggiando i finanziamenti e gli aiuti esteri.
La corruzione in Kenya ha rovinato le scuole e gli ospedali, il settore agricolo e industriale, le strade e i paesaggi, ma soprattutto ha rovinato le persone. Il Kenya è classificato al sesto posto per la corruzione mondiale. Come in altri paesi, l’impedimento principale allo sviluppo è proprio la corruzione, poiché arretra la società e aumenta la disoccupazione. Il Kenya, nella pratica di ogni giorno, dimostra che non vuole vincere questa battaglia. Questo aspetto della corruzione è presente in ogni situazione specie se si deve avere a che fare con la polizia.
In Malindi la polizia arrotonda lo stipendio ricattando i turisti, terrorizzandoli con le manette solo per avere soldi. Gli stranieri, che vivono a Malindi da anni, raccontano che chi ha provato a denunciarli ha passato solo dei guai. La polizia locale è troppo forte e si metterebbero d’accordo per far risultare che quello che dichiara lo straniero, specialmente se turista, è falso e subirebbe solo delle conseguenze negative (arresto e/o ritiro del passaporto impedendo per mesi la dipartita dal Paese).
C’è chi si chiede come mai il governo, perfettamente consapevole, non faccia nulla.
Ma la risposta è semplice: conviene che il Kenya sia un paese del terzo mondo, conviene che ci sia il turismo sessuale, conviene che i suoi uomini abbiano come sogno quello di farsi spedire i soldi dalla gallina vecchia straniera, conviene che le donne si prostituiscano e conviene mantenere la figura delle donne africane incinte contornate da una marea di bambini.
In questo Paese, se così si può chiamare, tutto è convenienza!

In Kenya, a marzo 2017, il debito pubblico lordo ha raggiunto i 40,4 miliardi di dollari.
Ad aprile 2017, l’inflazione ha raggiunto l’11,48% e un chilogrammo di zucchero veniva venduto a più di 2 dollari, così come la farina di mais (unga) per una confezione da due chili.
Il valore dello scellino è sceso da un picco di Ksh 86.44 contro il dollaro nel marzo 2014 a Ksh 103 nel maggio 2017.
A luglio 2017 Il tasso di disoccupazione in Kenya ha raggiunto il 40% della popolazione adulta, un tasso elevatissimo anche rispetto agli standard africani.

MALINDI, COLONIA DELLA CRIMINALITÀ.

Stando al ritratto impietoso della città sopra citata redatto nel 2005 dall’ambasciatore americano William Bellamy, finito nel tritacarne di Wikileaks, gli italiani hanno trasformato Malindi in un pezzo di Italia traslocandovi i propri “vizi”: sfruttamento e criminalità organizzata.
Il rapporto choc di Bellamy citava le denunce di corruzione nei confronti della polizia locale sporte dall’allora console italiano, ma non era affatto indulgente nei confronti degli italiani. Secondo il diplomatico, la comunità italiana ha escluso i giovani africani dalle attività lavorative, con il risultato di spingerli verso il traffico di droga e altre attività illegali. Peggio ancora, Bellamy specificava che anche il malaffare era in realtà governato dagli italiani. E che «le autorità locali approfittano del nuovo business per partecipare all’attività di estorsione a danno dei turisti».
Bellamy riportava il caso di un mafioso milanese, giunto a Malindi per rifarsi una vita dopo una condanna in Italia. E citava anche altri latitanti europei che avevano trovato l’impunità nella Ibiza del Kenya, come viene chiamata la cittadina. L’italiano era di gran lunga il maggiore narcotrafficante della zona: in una delle sue residenze erano stati trovati 700 chili di cocaina e altri 300 erano stati scoperti in un container imbarcato a Nairobi.
L’esplosione del business della droga in Kenya, secondo l’ambasciatore e molti analisti, ha infatti contribuito ad aumentare le frizioni religiose, mescolando gli affari economici con le divisioni sociali e religiose. “Tutti concordano sul fatto che le tensioni tra la comunità keniota e gli italiani stanno diventando tensioni tra musulmani e cristiani”, rifletteva Bellamy nel 2005. Gli integralisti, già allora, facevano proseliti fuori dalle moschee, nei sobborghi abitati dai giovani disoccupati. Le bande di musulmani e cristiani si fronteggiavano ai lati delle strade, e i cristiani venivano sempre più identificati come gli uomini bianchi associati ai nuovi problemi del Paese. Sette anni dopo, le tensioni tra musulmani e cristiani si sono tradotte in attentati e stragi. I casi non certo isolati di commando, composti da gruppi di cani sciolti incappucciati, che assaltano le case dei turisti impugnando il machete, sono insomma solo una minima parte del problema che gli italiani hanno contribuito a creare.

Vedi anche: Malindi di male in peggio!

Ottobre 2016. Raila Odinga chiede al governo di spiegare come sono stati spesi più di 200 miliardi di scellini in Eurobond
25 novembre 2015

Il presidente Uhuru Kenyatta decideva un rimpasto di governo, con un cambio ai vertici dei ministeri per l’Energia, l’Agricoltura, i Trasporti e il Lavoro. Kenyatta ribadiva che la corruzione costituisce una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Tutti i ministri sostituiti -riferiva il quotidiano The Standard- erano coinvolti in scandali per corruzione.
Pure il ministro per la Devolution, coinvolta in una vicenda relativa a tangenti, si era dimessa denunciando “problemi di salute, causati dal clima velenoso e le false accuse” che le venivano mosse. Kenyatta, eletto nel 2013 dopo aver incentrato sulla lotta alla corruzione la sua campagna elettorale, annunciava inoltre una nuova legislazione in materia che prevedeva la decadenza degli incarichi pubblici in caso di corruzione e il ritiro delle licenze per le banche che non rispettavano le norme antiriciclaggio.
I critici lo accusano di non aver mantenuto finora, le promesse fatte e di aver affrontato solo marginalmente il problema di una corruzione imperante in tutti i settori della pubblica amministrazione.
Tra gli scandali che hanno investito il governo keniota, ci sono una serie di vicende legate al land grabbing, truffe in materia di appalti e l’incapacità, da parte dei ministri competenti, di spiegare come sono stati spesi circa 2.75 miliardi di dollari in Eurobond raccolti sui mercati internazionali nel 2014. Le stesse forze armate keniote sono al centro di una bufera, con l’accusa di essere coinvolte in un traffico di zucchero di canna dalla Somalia, che peraltro prevederebbe un’alleanza con gli insorti al Shabaab che l’esercito dovrebbe combattere, per un giro d’affari di 400 milioni di dollari l’anno.

Corruzione in Africa-Il Kenya resta in testa al primo posto

7 aprile 2017

KENYA 6° PAESE PIÙ CORROTTO DEL MONDO, 1° IN AFRICA.

Il Kenya è la nazione più corrotta dell’Africa e il sesto paese del mondo in questa speciale e disdicevole classifica delle cattive abitudini, stilata ogni due anni dall’istituto americano EY Fraud Survey.
Globalmente il Paese dell’Est Africa ha guadagnato una posizione, confermando ormai da sei anni la posizione all’interno delle prime dieci, ma ha superato Nigeria, Somalia e Congo nel ranking continentale, diventando la nazione più corrotta d’Africa, grazie soprattutto all’aumentare dei suoi giri d’affari.
Nella speciale statistica dell’EY Fraud Survey, infatti, conta anche il volume di operazioni in cui avvengono frodi di ogni tipo (da quelle fiscali alle vere e proprie “mazzette”, dalle estorsioni al contrabbando, dalla speculazione edilizia alle concessioni) e non solo le abitudini e le opportunità.
Una classifica del genere è sicuramente un assist all’Opposizione di Governo, in vista delle prossime elezioni. La lotta alla corruzione infatti è stata una delle bandiere del Presidente Uhuru Kenyatta durante il suo mandato, che scade quest’anno ad agosto, ottenendo solo che questa piaga dilagasse fino ad arrivare a minare qualsiasi ambiente istituzionale ad ogni livello. L’odierno presidente in diretta televisiva, durante l’insediamento del nuovo Capo della Magistratura, ha voluto far credere di avere le mani legate sul fenomeno della corruzione, perché il potere di estromettere i corrotti è esercitato in primis dal Parlamento, ottenendo così che in tutto il Paese le manifestazioni contro la corruzione vengono represse dalla polizia dimenticando le maniere morbide, con il conseguente radicarsi del “mangia-mangia” generale in qualsiasi ambiente, anche tra la popolazione più povera che inevitabilmente non riesce a capire, visto il livello intellettivo, che è semplicemente destinata a rimanere tale.
Proprio per questa ragione i cittadini rinnoveranno, con il voto, il mandato all’odierno presidente!

Come la corruzione cinese ingrassa la leadership del Kenya30 settembre 2018

KENYA SPENDACCIONE. DEBITO CON LA CINA DI 60 MILIARDI DI EURO CHE NON POTRÀ ONORARE

Non è una malevole previsione dei detrattori del governo Kenyatta, ma si tratta di una proiezione ufficiale del suo ministero del Tesoro che, nella bozza del Budget Review and Outlook Paper, segnala una pericolosa tendenza della spesa pubblica il cui trend, valutato in ragione dei debiti già contratti e di quelli di prossima acquisizione, indica che al termine del mandato presidenziale del 2022 (a termini costituzionali non più rinnovabile) lascerà al Paese un debito complessivo di oltre 60 miliardi di euro, cioè, più o meno lo stesso ammontare del PIL, il Prodotto Interno Lordo dell’ex colonia britannica.

Questa colossale spesa risulta prodotta da una massiccia realizzazione di infrastrutture: strade, ferrovie, ponti, centrali elettriche, porti e varie altre installazioni, attuate attraverso la sottoscrizione di ingenti debiti, soprattutto (ma non solo) con l’ormai onnipresente partner cinese. Tutte opere che hanno notevolmente contribuito a una modernizzazione del paese, ma che hanno anche drammaticamente svuotato la cassa di Stato, impedendo altri necessari interventi in aree sensibili, come quelle del sistema scolastico, della sanità, delle case popolari, delle strade per l’accesso alle zone più remote e di altre opere pubbliche essenziali per consentire alla popolazione meno abbiente, decorose condizioni di vita.

Una delle molte critiche rivolte al governo, per l’ingente indebitamento, proviene dal responsabile regionale della Stanbic Bank, Jibran Quereishi, che definisce irresponsabile “l’ambiziosa frenesia alla spesa” da cui la classe politica al potere sembra essere soggiogata. Del resto i primi effetti di questo dissennato indebitamento, hanno già prodotto dolorose conseguenze sull’economia interna: l’otto per cento di IVA è stato imposto sui prodotti petroliferi, cosa che presso le stazioni di servizio, causa l’aumento di altre tasse, si è trasformata in un secco incremento del 16 per cento sui carburanti facendo così esplodere una catena di rincari in tutto il settore della distribuzione, prodotti alimentari inclusi.

Per far fronte a questo crescente e inarrestabile indebitamento, la ricerca del governo di altri prestiti si sta facendo frenetica, ma trova sempre più porte chiuse perché la fiducia nella capacità di recupero del Paese appare poco credibile e si teme che il Kenya possa fare presto la fine dello Zambia, costretto a cedere i propri tesori all’astuto e falsamente “generoso” alleato commerciale cinese. Su questa linea anche l’IMF (Fondo Monetario Internazionale) ha rifiutato di rinnovare al Kenya la concessione del credito di circa 900 milioni di euro, benché il locale rappresentante della potente organizzazione finanziaria, Jan Mikkelsen, assicura che l’IMF continuerà ad assistere il Kenya nel realizzare le necessarie riforme fornendo “i più opportuni consigli”, ma i consigli non sono titoli negoziabili di cui il Kenya ha disperatamente bisogno.
Peraltro, non tutto l’ammodernamento realizzato grazie al debito con Pechino, risulta gradito ai kenioti, come la miniera di carbone in fase di realizzazione a Lamu che riceve la ferma ostilità degli abitanti, ma intanto, mentre davanti ai distributori di carburante del Paese si accodano chilometri di auto che tentano di fare il pieno prima dell’annunciato aumento, ecco la curiosa definizione di un cittadino (certo Mike) apparsa su un social network: “L’ambizione dei nostri politici è simile a quella di una cortigiana fallita che sotto il ricco mantello di broccato, indossa mutande sporche e stracciate”.
by Africa Express

Eredità che il Kenya lascia alle nuove generazioni23 novembre 2018

KENYA. 300 MILIONI DI DOLLARI BRUCIATI IN UN MESE PER RALLENTARE LA CADUTA DELLO SCELLINO

Da sempre il Kenya ha come moneta di riferimento il dollaro americano per verificare la salute della propria valuta, ma oggi questa verifica presenta risultati allarmanti. Lo scellino, che pareva essersi consolidato al cambio di un dollaro per 100,9 scellini, il 15 novembre scorso è salito a 103,5 presentando un trend che, a detta degli analisti finanziari, fa ritenere che entro la fine dell’anno in corso potrebbe superare la soglia dei 105. Ad aggravare questo andamento, c’è anche il giudizio del Fondo Monetario Internazionale (IMF), secondo cui lo scellino sarebbe sopravvalutato di un buon 17,5 per cento rispetto al valore reale.

Oltre a dissanguarsi in questi continui interventi per sostenere la propria moneta, il Kenya assiste anche a una progressiva erosione delle riserve in valuta estera che in poco più di un mese sono passate da 8,45 miliardi di dollari a 8,15 miliardi. Uno dei problemi, oltre all’insostenibile indebitamento con l’estero, è che il Paese non riesce a dare un significativo impulso alle proprie esportazioni che presentano oggi un saldo negativo di oltre otto miliardi di dollari: Infatti nei primi nove mesi dell’anno in corso, il valore delle merci importate ammontava a 13 miliardi di dollari, mentre quelle esportate non superavano i 4,7 miliardi.

Nei confronti dello scellino e benché mantenga una certa debolezza verso il dollaro, cresce anche l’euro che il 20 novembre scorso, si attestava sul cambio di 117,17 scellini per un euro. È di tutta evidenza che questa situazione non può risolversi con i continui interventi della Banca Centrale che, tra l’altro, hanno il peso di un granello di sabbia nel deserto, ma necessitano di radicali interventi sulla strutture produttiva e finanziaria. Le procedure export, causa la corruzione e le complessità bizantine, sono tali da scoraggiare qualsiasi imprenditore che provi ad avventurarvisi, mentre la supervalutazione dello scellino – non determinata da un reale riscontro economico, ma da fittizie determinazioni effettuate nel palazzo – mortifica fortemente l’export soprattutto verso i Paesi confinanti.

Fatte queste considerazioni, verrebbe da domandarsi, perché il Kenya non decide di svalutare lo scellino, dando così un robusto impulso alle proprie esportazioni. La risposta è semplice: dato l’alto indebitamento contratto dal governo verso l’estero, una svalutazione dello scellino farebbe spendere molto di più per acquistare la valuta estera necessaria a pagare le rate, visto che nessuno dei creditori accetterebbe mai lo scellino quale moneta per il pagamento del dovuto. Quindi, si mantiene alto il valore dello scellino per non far aumentare il valore del debito, benché questo sistema affligga la competitività dei prodotti da esportare. Insomma; è come svuotare una tasca dai soldi che contiene per metterli nell’altra.
Il giusto intervento per sanare questa perversa patologia, sarebbe stato quello di limitare il debito verso l’estero, come tutti gli organismi finanziari internazionali avevano caldamente esortato a fare. Lo si poteva fare, semplicemente rinunciando – o quantomeno posticipando – la realizzazione dei progetti infrastrutturali più costosi e non di immediata necessità, ma il governo si è pervicacemente mostrato sordo a questi appelli, cosa che legittima il sospetto che tali appalti siano serviti a portare acqua al mulino dei pochi privilegiati che hanno la fortuna di sedere nel palazzo e poco si curano di chi vi è rimasto fuori.
by Africa ExPress

La storia è una traccia della nostra ed altrui esistenza, oltre ad essere conservazione di usi, tradizioni e costumi

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Storia Kenya
Storia Malindi
Storia Watamu

Zanguebar il paese degli Zanj
La Costa Orientale Africana
Kenya dal X al XX secolo
Sultanato di Kilwa
Popolo Swahili
Vasco da Gama
La Malindi portoghese
Il cielo australe verso il 1500
Cinesi in Africa
Tratta degli schiavi e schiavitù
Le rovine di Gedi
Le rovine di Mnarani
Le rovine di Jumba La Mtwana
Colonialismo in Africa
Olocausto Africano
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Mau Mau: lo sterminio
Religioni monoteiste abramitiche

Kenya: popoli, tribù, etnie
Tribù Masai
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Kenya: contee, province, distretti, città
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Il Kenyaultima modifica: 2017-06-11T02:16:06+02:00da tembokenya